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Sebbene in quel così tanto sudicio quartiere di merda la gente avesse l’abitudine di farsi i cazzi propri, in quel dì di festa Michele signor C. aveva perso le speranze e con loro anche la voglia di lavorare.
E forse aveva cominciato pure a piovere su quasi tutti quanti quei tetti spioventi di una Milano grigia ed ancora un po’ fredda per essere un giorno di metà Maggio.
Lo stomaco sembrava non risentire di tutta quanta quella cazzo di birra che il buon Michele signor C. si stava bevendo anche se però era già da un paio di ore che quel suo vicino di casa stesse ruttando a mani basse.
No, non c'era alcun modo e verso di poterlo fare smettere.
A suo dire stava cominciando a diventare fastidioso e nella noia si era avventurato anche al fatto che erano già un paio di ore che non stava facendo altro di diverso se non ruttare tutto l'alfabeto all'incontrario fosse l'unica cosa che sembrava essere in grado di fare.
Qualcuno poi alla fine si lamentò.
Si stava lamentando del baccano e del fatto forse che la mattina successiva a quella stessa notte, quella povera signora si sarebbe dovuta svegliare all'alba per poter affrontare la bellezza di consecutive ore cinque di lavoro.
Nel frattempo Michele signor C. beveva e scoreggiava, scoreggiava e beveva e quando non scoreggiava allora ruttava delle robe allucinanti e assurde che gli provenivano dal profondo del cuore.
Nel frattempo dalla strada proveniva il rumoreggiare di bottiglie di birra che, cadendo da un muretto a secco, si andavano a sfracanare al suolo
Forse questo era accaduto anche a causa del fatto che un qualche gatto randagio doveva essere passato scodinzolando ed ignaro di tutto quanto.
Magari, forse perché perditempo, un qualsivoglia qualcuno doveva averla appoggiata così tanto male che quello stesso agglomerato di bottiglie di vetro perdessero il proprio già precario equilibrio.
Michele signor C., integerrimo, si era andato andato a mettere sul balcone che su quella strabordante strada si andava ad affacciare forse anche un pochino incuriosito da quel rumoreggiare.
Nascosto da alcune piante ad alto fusto che regnavano all'interno di quel così tanto ristretto ambiente, il responsabile del turno di notte cercò di capire.
Vide giusto un paio di sud americani allontanarsi furtivamente dal giardino di quel palazzo laggiù.
Li vide scavalcare la staccionata di quel muretto tirato su a secco qualche decennio prima da qualcuno a lui del tutto sconosciuto facendo proprio allora cadere quelle bottiglie di birra e soltanto alcuni istanti dopo raggiungere una macchina.
E fu proprio allora che quell'orripilante e scassatissima macchina di colore rosso passò proprio sotto il suo balcone.
Passò proprio sotto il balcone nel quale si era andato poi e soltanto alla fine andato ad affacciare il nostro molto più che buono Michele signor C. ma, ad un certo punto della faccenda, suonò un telefono.
“Pronto?”
“No, mi devo ancora vestire.”
“Schifo.”
“Dimmi.”
“Lo sai cosa è appena successo a Johnny LaFava?”
“Già m'immagino.”
“No, non ti puoi immaginare.”
“Maldestro. Sarà rimasto incastrato se non addirittura chiuso nel letto.”
“Veramente... non capisco.”
“Arriva al dunque.”
“Dunque.”
“Ecco, bravo.”
“Fammi parlare.”
“Parla, puttana.”
“Ha litigato pesantemente con la moglie anche se però lui c'aveva una voglia tale che a momenti si sarebbe ingroppato anche quella bestia di sua suocera e comunque. Comunque detto fatto lei lo ha sbattuto fuori di casa che potevano essere le due o le tre di notte. In mutande e in canottiera era uscito in strada ma quello nel quale era stato appena coinvolto non doveva essere stato allora e quindi un litigio poi così tanto furibondo.”
“Cosa te lo ha fatto capire?”
“Il fatto che lei, nonostante stesse ancora imprecandogli contro, ha avuto almeno la dignità e il buonsenso di passargli i vestiti dal balcone. Doveva avergli fatto pietà messo così alla mercé di tutti e di tutti quanti in mutande e canottiera.”
“Veramente io ho visto che glieli gettava tutti quanti dalla finestra. Deve avergli svuotato l'armadio a quel poverino. E alla fine? Poi?”
“No, secondo me non capisci molte cose.”
“Questo lo dici tu e comunque... no.”
“No che cosa?”
“No, non capisco come tu faccia di già a sapere tutte quante queste e altre cose.”
“Facile. Johnny LaFava abita nel palazzo proprio di fronte al mio e ho sentito tutto.”
“Racconta.”
E a questo punto della faccenda qualcuno fece un peto.
“Dunque.”
“Ordunque.”
“Taci.”
“Parla, minchia.”
“Ero in cucina che mi stavo bellamente...”
“Sollazzando la fava.”
“No.”
“Ah.”
“Bi.”
“Vai avanti.”
“Ero dunque in cucina che mi stavo bellamente...”
“Facendo una sega.”
“No.”
“Ma si può sapere che cazzo stavi facendo?”
“Ero quindi in cucina che mi stavo bellamente preparando un caffè...”
“Alle due di notte?”
“Seee, mi stavo bellamente preparando un cazzo di caffè di merda sebbene e nonostante comunque tutto e tutto quant'altro il resto quando vedo con la coda dell'occhio accendersi una luce. La luce va illuminare la cucina di uno di quegli appartamenti del primo piano e...”
“Ma tu come lo hai visto?”
“Come come l'ho visto? L'ho visto sì ma con 'sto gran ceppo...”
“Ho capito. Ho capito tutto.”
“Cosa hai capito?”
“Ho capito. Te lo ha detto la signora del ceppo.”
“Sparati.”
E fu proprio in questo esatto momento che a qualcuno scappò un gran bel ruttazzo.
Dovevano averlo però proprio sentito tutti quanti quel cazzo di gran bel ruttazzo di merda anche perché quel gatto randagio che se la stava bellamente dormendo nei giardinetti pubblici, allora si svegliò di schianto.
Oltre a questo gatto, dai giardinetti pubblici uscì qualcuno.
Qualcuno che forse però il responsabile del turno di notte conosceva anche piuttosto bene.
Qualcun altro dall'aspetto altisonante assai allora, arrivato a quel punto della notte decise d'infilarsi ai piedi quel vecchio paio di scarpe e di uscire.
Decise forse bene o forse magari male di uscire di casa e di prendere nonostante tutto le chiavi della macchina.
Percorse tutte quante quelle strabordanti strade che circondavano la circonvallazione esterna e andarsene una buona volta al lavoro anche se prima decise che fosse il caso di capire cosa mai accadesse nella testolina bacata del responsabile del turno di notte.
Nel frattempo.
Le strade erano frequentate da gente strana che puzzava e da tutte quante quelle altre altisonanti bestie feroci che il buon Gullia Giuliano non voleva incontrare nella maniera più assoluta.
Avevano forse indetto lo sciopero della fame e della sete ma anche quello del gabinetto e lui non vedeva l'ora di sopraggiungere sotto la dimora del suo così tanto caro amico per levarseli pure dai coglioni.
Non vedeva l'ora.
Quando arrivò sotto casa del Rivabella Paolo detto anche e pure Il Paolino, sul posto trovò alcune volanti della polizia.
Gli agenti erano intanto intenti a controllare i documenti di tutti quanti quei signori che in una folta rissa erano stati coinvolti da qualcun altro che però non si riusciva proprio a trovare.
Le controversie stavano procedendo in un finale che poteva anche essere degno di nota ma non per un qualsiasi scrittore di romanzi gialli che in quel momento però di cadaveri e di assassini in giro non ne aveva ancora visti.
Animandosi prima e dissolvendosi con la forza poi quella cazzo di rissa, alla fine dei conti aveva portato il Gullia Giuliano a prendere quasi la strada che lo avrebbe riportato dritto dritto verso casa.
Ma ad un certo punto sempre lo stesso Gullia Giuliano prese e si fermò un attimo a riflettere.
Prese allora la strana decisione di voler condividere la sua posizione ed alcune fotografie di quella rissa che proprio sotto la casa dell'amico suo si stava magari ancora svolgendo.
Decise di prendere il telefono e dopo aver avviato l'applicazione che gli avrebbe allora permesso di poter connettere il cervello con il cervelletto, cominciò a scrivere al Rivabella Paolo detto anche Il Paolino.
Quello stesso Rivabella Paolo detto anche Il Paolino che in quello stesso frangente aveva appena cominciato a bussare violentemente al finestrino del conducente di quell'automobile nella quale poi si trovava un tale di nome Gullia Giuliano.
“Che fai?”
“Non ho sonno.”
“Ed allora sai che si fa?”
“Si fa una sega.”
“Ti va di fare un giro?”
“Eddove? Adesso è tutto chiuso.”
“Anche questa chiesa sconsacrata qua è chiusa.” Disse forse lo stesso Rivabella Paolo detto anche Il Paolino facendo oscillare proprio davanti agli occhi del Gullia Giuliano un mazzo di chiavi.
“Ed allora sali, puttana.” Disse qualcuno con addosso un impermeabile giallo.
Dopo un po’ di tempo.
Michele signor C. decise di rientrare a casa propria sebbene fosse deliberatamente ubriaco.
Aveva trascorso quasi tutta quanta quell'ultima notte a girovagare tra le strade della circonvallazione esterna di Milano chiuso all'interno di una macchina che puzzava di schifo, di chiuso e di fumo stantio.
Ed allora, a suon di ruttazzi spegneva l'auto ma soltanto quando aveva trovato il posto giusto ove poter morire per i cazzi propri e da solo e rumoreggiando a bassa voce una vecchia filastrocca, entrava in quel baracchino per prendere dell'altra birra.
Ma alla fine qualcuno lo aveva visto fermarsi in mezzo alla strada e lasciare le chiavi della macchina a qualcuno che l'avrebbe da qualche parte parcheggiata al posto suo.
Il barista oltretutto non aveva il resto da dargli ed una volta che Michele signor C. anche con una certa fermezza fece il proprio rientro all'interno di casa propria, la sua attenzione fu attirata attirata da qualcosa di strano.
C'era una coppia di giovani fidanzati che se ne stava abbracciata sull'altro lato della strada impegnata più che altro a limonare duro come dei ragazzini.
Non si erano mossi di un centimetro.
E fu con tutta probabilità che soltanto dopo il responsabile del turno di notte appoggiò sul tavolo della cucina quelle tre o quattro bottiglie che in mano aveva.
Tentennarono rumorosamente ed una di queste rischiò pure di cadere sul pavimento.
Non trovando alcun genere di giustificazione in merito all'ignoranza musicale di quella così tanto giovane coppia di ammirevoli fidanzatini, il suo rientro a casa fu allora fatto però anche con una certa e ferma decisione.
L'aria polverosa di quella vecchia casa si stava facendo seppur lentamente sempre più pesante ma al tempo stesso anche insolitamente gradevole per chi, come lui, amava starsene deliberatamente per conto proprio.
Aspettava ancora qualche attimo ad albeggiare tra quella catena di monti che si frastagliava all'orizzonte.
Anche se era quello per lui un periodo nel quale non c'aveva voglia, ad un certo punto cominciò a farsi due conti in tasca e alla fine decise che magari il caso di non accettare il rogito di quel cazzo di appartamento di merda.
E gli andò pure bene dal momento in cui, un giorno d'inverno scoprì che quel cazzo di appartamento del cazzo c'aveva addosso un'ipoteca grossa quanto una casa.
Allora si mise seduto su quel divano e accese la televisione sul dodicesimo canale già sapendo che stavano trasmettendo quella partita di pallavolo.
“Ma chi cazz è che ha combinato 'sto casino?” Pensò quasi ad alta voce vedendo il salotto di quella catapecchia, inondato da diverse centinaia di bottiglie vuote di birra.
Allora si dimenticò di quella cosa forse anche a causa della telecronaca di quella partita di pallavolo alla quale quel sabato sera aveva avuto modo di assistere di persona.
Il cigolare della catena di quella vecchia bicicletta lui non ebbe assolutamente modo di sentirlo forse a causa del fatto che il volume della televisione in quel momento era sparato a mille.
No, non si era assolutamente accorto che sotto al cuscino ci doveva essere nascosto qualcosa che gli stava forse e anche pure magari dando fastidio.
Decise di allungare le gambe e i piedi pure su quel dannatissimo tavolino di merda che poco imponente e impareggiabile rispetto ad altri ben più belli e affascinanti, troneggiava proprio al centro del salotto.
Ma se tra lui e quel mobile c'era quel tavolino che risultava essere in mezzo ai coglioni oltre che a essere assai sgradevole all'altrui vista, ad un certo punto accadde che si addormentò quasi di schianto ed a quel punto qualcuno, per festeggiare la cosa, fece un gran bel ruttazzo.